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Il monito dell'attuale Pontefice si inserisce in una lunga serie, da Lui stesso richiamata nella "Laudato sì", di Encicliche che affrontano la questione sociale: la Chiesa Cattolica non ha mai smesso di far sentire la propria voce su tematiche quali sviluppo, lavoro, ambiente e il modo di "fare insieme".
Non stupisce dunque l'incontro del Papa, in quest'anno giubilare sui generis, con i rappresentanti di Confindustria, che da sempre cercano nella dottrina valoriale cattolica un appiglio per il loro agire in qualità di imprenditori, di investitori e di decisori.
Non sorprende la copertura mediatica dell'evento, con articoli su TUTTI i quotidiani nazionali – Sole24Ore, Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Il Fatto Quotidiano, Il Messaggero, Libero, etc. - come pure il generalizzato osanna dei commentatori (l'articolo più neutrale che sono riuscita a trovare è http://huff.to/1V4Yklz) solo vagamente stemperato dalle voci dei pochi liberisti (come questo http://bit.ly/22OCJE7) chiamati in causa dalla predica di Bergoglio.
Qualcuno (qui http://bit.ly/25wpEOw) parla di “bacchettate” del Pontefice a “questi padroni, un po’ distratti, un po’ provinciali, un po’ disinteressati”; qualcun'altro (qui http://bit.ly/1PFA9DJ) enfatizza la portata del messaggio papale, fino a sostenere che il pontificato di Francesco rappresenti un fattore di netta discontinuità nei rapporti tra Chiesa e impresa: “La nuova dottrina sociale di Bergoglio non considera, come le dottrine precedenti, i mali del sistema capitalista come frutti malati di un albero sano, ma ritiene malata la pianta nel suo insieme.”
In realtà, come sottolinea Avvenire (http://bit.ly/1ROFq3f), “Francesco non è contro il capitalismo tout court. Il 31 ottobre scorso disse: «L’impresa è un bene di interesse comune. Per quanto essa sia un bene di proprietà e a gestione privata, per il semplice fatto che persegue obiettivi di interesse e di rilievo generale [...] andrebbe tutelata in quanto bene in sé».
Nessuno strappo, quindi, ma qualcosa di più simile a un rattoppo: il peccato non è sfruttare il lavoro, le risorse, le esistenze di tutto e tutti in nome del profitto privato, ma solo farlo con egoismo, avidità e inoculatezza. E' fuori di dubbio che la provocazione del Papa sia ben meritata dalla classe dirigente nostrana (basti solo menzionare l'ingombrante presenza dell'Eni nello scenario libico) ma in fin dei conti si tratta semplicemente di spargere incenso su una versione dell'economia capitalista piuttosto che su un'altra, oggi considerata meno funzionale.
Del resto, un'istituzione che da più di due millenni offre la sua sofisticata stampella ideologica alle classi dominanti non può rappresentare un reale fattore di sovvertimento dei rapporti di produzione esistenti, né evidentemente intende farlo. Ma la strategia di marketing del “papa socialista” è brillante, specie in un momento in cui la Chiesa Cattolica stessa sta procedendo al proprio ammodernamento funzionale e dottrinale.
“Solidarietà”, “responsabilità”, “bene comune”, “rispetto della persona”, sono slogan per benedire la ripresa e lo sviluppo dell'apparto produttivo italiano ed europeo. Che questi possano essere messi in pratica, è gradevole ma illusoria utopia di chi non ha ben chiaro il funzionamento dell'economia capitalista globale.
Giulia Nika Romani